I Prozac+ e i Sick Tamburo. Pordenone e il Great Complotto. “Acido acida” e il successo. Il punk rock ma non solo. Elisabetta… Abbiamo parlato con tutto questo con Gian Maria Accusani, un ragazzo di provincia che da grande voleva fare il musicista.
Il tuo nuovo spettacolo dal vivo si intitola “Da grande faccio il musicista”. Sapendo che hai iniziato a suonare molto presto, qual è il tuo primo ricordo legato alla musica e quando hai detto “voglio fare il musicista”? All’età di 6 o 7 anni, mio zio, musicista piuttosto affermato, ha trasmesso a me e ai miei cugini, i suoi figli, la passione per la musica, tanto che suonavamo assieme partiture di Bach, Beethoven o Vivaldi, come fosse un gioco. Da quel momento, quando qualcuno mi chiedeva cosa avessi voluto fare da grande, rispondevo senza esitare un attimo “da grande faccio il musicista”.
Tu arrivi dal punk e dal Great Complotto, movimento artistico di Pordenone dei primi 80 legato al punk. Cosa ricordi di quel periodo e quanto è stato formativo per te? Lo ricordo come un periodo meraviglioso. Essere entrati nel Great Complotto è stato come entrare in un mondo magico. Sicuramente gli anni passati nel movimento sono stati una sorta di traghetto molto importante.
Com’era Pordenone, dal punto di vista musicale e artistico, in quegli anni e com’è oggi? Era molto attiva e quasi frenetica. Il Great Complotto era sicuramente il centro di questa scena. C’erano decine di gruppi che si davano da fare per esprimere le loro idee che, spesso, erano molto diverse da quello che andava in quegli anni. E quella diversità è stata veramente formativa. Oggi conosco poco la scena perché vivo praticamente come un orso nella sua tana.
Allora suonavi nei Gigolò Look e poi nei Futurismi assieme a Davide Toffolo, fumettista e voce dei TARM. Cosa ricordi di quel periodo e di quelle band? Abbiamo avuto esperienze bellissime e anche piuttosto importanti. Esperienze che mi hanno poi aiutato molto nel decidere cosa fare o cosa non fare.
Quegli anni per te erano anche quelli dei viaggi a Londra. Cosa ti affascinava e cosa cercavi nella città inglese? Per noi Londra era il centro del nostro mondo. L’80% della musica che ascoltavamo arrivava da lì. Ecco perché a 18 anni ho lasciato tutto e sono andato a viverci. E per la seconda volta, dopo l’esperienza del Great Complotto, era stato come entrare in un mondo magico.
Nel 1995 arrivano i Prozac+, come nascono e con quali obiettivi? I Prozac+ sono nati come il naturale evolversi di quelle che erano state le mie esperienze precedenti. Quelle di cui abbiamo parlato prima tendenzialmente. L’obiettivo era quello che avevano tutti, poter andare in giro a suonare. Con speranza che potessero succedere cose importanti ma senza grandi aspettative.
Un trio con due donne: è stato un caso? No, non lo è stato. Volevo fare una band con delle ragazze perché in quegli anni ce ne erano veramente poche. Specie nel nostro mondo, alternativo…
È vero che la Vox Pop vi ha messo sotto contratto dopo soli 3 concerti? Verissimo. Tre giorni dopo aver dato loro i nostri provini, proprio durante il nostro terzo concerto, mi hanno chiamato a casa e mi hanno proposto la cosa…
In quegli anni emergeva tutta una nuova scena indie di casa nostra, c’erano spazi che si aprivano per tutti voi. Come vi trovavate in questo calderone che andava dai C.S.I agli Afterhours, passando per Mau Mau e Casino Royale? Ovviamente molto bene perché, come hai detto tu, si erano aperti spazi che fino a quel momento erano sempre stati chiusi, per noi della scena “alternativa”.
Dopo l’esordio con “Testa Plastica” nel 1996, arriva il successo due anni dopo con “Acido Acida”. Come cambia la vita dei Prozac+ da quel momento e come spiegheresti quel successo? Credo sia successo perché abbiamo fatto la cosa giusta al momento giusto. Se l’avessimo fatta un po’ prima o un po’ dopo, credo non sarebbe accaduta con la medesima intensità…
Come vedevano i Prozac+ i “vecchi” punk? Dovresti chiederlo a loro onestamente. Posso dirti come li vedo io. I Prozac+ sono stati un gruppo che ha mescolato tante cose che arrivavano da un mondo “alternativo”. Tra queste anche il punk melodico. Ma, come ripeto, era una delle tante componenti che abbiamo mescolato. Di punk avevamo sicuramente l’atteggiamento ma la musica era un mix di tante cose.
È stato facile realizzare i dischi successivi dopo quel grosso successo? Sentivate pressioni particolari? Personalmente non ho mai sentito grandi pressioni nel dovere scrivere le canzoni che abbiamo fatto uscire dopo quel successo. Le uniche pressioni erano legate al fatto che mi squillava il telefonino ogni tre secondi…
I Prozac+ non hanno mai veramente ufficializzato il loro scioglimento o sbaglio? Quando ci siamo fermati, credo nel 2005, lo abbiamo fatto perché era arrivato il momento di farlo. Una cosa fisiologica. Non ci siamo mai sciolti ufficialmente ma di fatto lo eravamo.
Come si passa dai Prozac+ ai Sick Tamburo? Cosa dovevano essere i ST per te e Elisabetta? I Sick Tamburo sono stati semplicemente e fortunatamente solo la nostra voglia di continuare a viaggiare assieme. Cosa che abbiamo fatto per tutta la vita.
Pensi che ci sia un filo conduttore tra le due band? Sicuramente almeno umano.
Come pensi che sia cambiata la tua scrittura negli anni e dai Prozac+ ai Sick Tamburo? Credo che piano piano sia maturata. Se non altro per l’età che va avanti…
A inizio 2020 ci lascia Elisabetta. Come ti piace ricordarla? Ho capito che il miglior modo per ricordarla è quello di portare avanti il nostro progetto. Che oltretutto è nato fortemente per un suo volere. Per me è stata, ed è in realtà ancora ora, una persona molto speciale con cui ho condiviso 25 anni speciali.
Cambieresti qualcosa del tuo percorso da musicista? Rifaresti cose diversamente? Sicuramente ho fatto cose sbagliate ma se tornassi indietro non le cambierei, perché sono state cose che mi hanno fatto crescere e hanno determinato, in qualche modo, quello che sono stato e che sono ora.
Come nasce invece il nuovo tour da solista “Da grande faccio il musicista”? Non è un concerto vero e proprio ma una sorta di storytelling farcito da una serie di canzoni che hanno a che fare con quello che racconto. È la storia del mio viaggio nel mondo della musica da quando ho 6-7 anni fino ad oggi. Non ero ancora pronto per tornare sul palco con la band ed è stata un’alternativa che mi è piaciuta moltissimo e che mi è anche servita moltissimo.
Questo tour da solo non chiude il capitolo Sick Tamburo. Quanto è importante oggi portare avanti il discorso con i Sick Tamburo? Come dicevo prima, dopo un periodo in cui mi sono chiesto se fosse il caso di continuare con il gruppo, ho capito che farlo sarebbe stato il modo migliore per continuare questo viaggio con la persona che mi ha accompagnato per la maggior parte del tempo. Continuare con i Sick significa continuare a stare vicino all’Elisabetta.
Tra l’altro a inizio 2021 è uscito “Back to the roots (Forse è l’amore)”, una raccolta di brani dei Sick Tamburo rivisitati in chiave pop/punk. Sembra quasi un ritorno alle origini, al primo amore che era la musica punk, quasi a vlr chiudere un cerchio? Si, è stato proprio un ritorno alle origini. Non dei Sick Tamburo, ma mio e dell’Elisabetta che abbiamo iniziato a suonare facendo quel tipo di cose lì.
In passato hai anche fatto il tour manager e c’è un simpatico aneddoto che riguarda i Ramones… Ce lo racconti? Eravamo io e il mio compagno e amico Alex (Fabbro, di Hub Music Factory, nda) in hotel a Milano. La sera prima c’era stata l’ultima data del tour e ad una certa ora del mattino avremmo dovuto portare band e crew all’aeroporto per prendere l’aereo per gli USA. Solo che, proprio in virtù del fatto che era stata l’ultima data, dopo il concerto, ci siamo letteralmente squartati di alcool e così al mattino non avevamo sentito la sveglia, o forse ci eravamo proprio dimenticati di programmarla. Così, mentre stavamo beatamente dormendo, sentiamo bussare alla porta della camera e ci svegliamo di soprassalto. Era CJ Ramone, venuto ad avvisarci che tutti ci stavano aspettando nella hall dell’albergo. Così ci siamo vesti in fretta e furia senza nemmeno andare in bagno e siamo scesi ancora mezzi addormentati, facendo finta di nulla…
Chi è oggi GM? Semplicemente uno che prova ancora paura prima di salire su un palco e che quindi capisce che il suo viaggio, quello nel mondo della musica, sta ancora andando avanti con le motivazioni giuste.
Le domande del Mago Trippone (Trippa Shake):
Esiste un tuo pezzo che ti vergogni di suonare e perché? No, non esiste nessun brano che mi vergogno di suonare. Diciamo che se posso cerco di evitare i tormentoni ma non provo certo vergogna.
Quando coi Prozac+ eravate affermati, non sarebbe stato il caso di darvi un po’ di arie? Credo che abbiamo fatto ciò che ci siamo sentiti di fare e quindi credo che abbiamo fatto la cosa giusta.
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