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Intervista: Max ed Eugenio di TSUNAMI EDIZIONI

Nel favoloso mondo dei libri dedicati alla musica in generale e al punk in particolare, Tsunami è nel cuore di tutti noi di Pogo. Era quindi inevitabile scambiare quattro chiacchiere con Eugenio e Max, i due simpatici boss di questa dinamica casa editrice. 
(Kappa)

Partiamo dall’inizio: come e perché è nata Tsunami?

L’idea di Tsunami è nata nel 2006 durante una trasferta a Londra per un concerto. Girando per librerie e negozi di dischi abbiamo visto un sacco di libri che secondo noi sarebbe stato bello avere in Italia, per cui ci siamo detti: “Facciamolo noi!”. Molto punk, se ci pensi. Per quanto riguarda il “come”, un po’ avevamo già idea di cosa fosse l’editoria, un po’ abbiamo imparato sul campo, mettendoci tutto l’impegno possibile.

Sul vostro sito scrivete che vi occupate principalmente di rock, hard rock e metal… ma negli ultimi anni avete spaziato anche su altri generi. Ci avete preso gusto o è stata una coincidenza?

Diciamo un po’ e un po’. Nelle nostre intenzioni Tsunami doveva parlare di tutto ciò che fosse “estremo”, tendenzialmente rock, ma non solo, al punto che già il primo anno, insieme alla biografia degli Slayer e a un libro su Lemmy, abbiamo pubblicato una biografia di Amy Winehouse, che seppur non rock certamente era molto estrema. Poi, con gli anni, certe cose si sono evolute, si sono presentate altre occasioni e abbiamo dato spazio anche ad altri generi che comunque rientrano nei nostri gusti. Però sempre restando fedeli al nostro scopo di essere sempre un po’ fuori dal coro, di fare le cose con un nostro stile.

Avete sempre mantenuto un profilo indipendente, pur pubblicando libri che trattavano artisti giganteschi. Com’è gestire “in famiglia” un’azienda che vi porta in contatto con vere e proprie star?

Impegno e passione, ecco il “segreto”. Se ci sono questi due elementi si possono affrontare sfide (quasi) di ogni tipo. Non sempre siamo riusciti a fare quello che avremmo voluto, ma siamo sempre stati in grado di rapportarci con tutti, anche se ovviamente in certe situazioni ci siamo sentiti davvero piccoli piccoli. Dobbiamo però ammettere che spesso è stato più facile lavorare con nomi molto grossi che con personaggi molto meno mainstream. 

Un editore, come una label, affronta problematiche di diffusione e promozione. Credete che si possa fare un parallelo tra le due realtà? Nessuno di voi ha mai pensato “era meglio se facevo un’etichetta discografica”?

Francamente no. È vero che per certi aspetti le attività sono simili, ma noi abbiamo sempre e solo pensato di fare libri, senza mai “pentirci” per la scelta intrapresa, nonostante negli anni ci siamo trovati a dover affrontare situazioni anche molto difficili. La diffusione e la promozione sono effettivamente due brutte bestie, ma cerchiamo sempre di domarle a modo nostro, per quanto possibile. Cerchiamo di non fare mai il passo più lungo della gamba e sappiamo di poter contare anche sul passaparola di un pubblico di lettori che per fortuna ci rispetta e a cui noi cerchiamo sempre di dare il meglio.

Al di fuori dei generi, la vostra linea editoriale tocca artisti fondamentali come Iron Maiden, Black Sabbath e, allo stesso tempo, anche leggende di nicchia come Mercyful Fate o Venom. Che valutazioni fate per scegliere quale sarà il vostro prossimo libro?

Sicuramente, trattandosi comunque di un’attività imprenditoriale, valutiamo molto bene quale può essere il potenziale di vendita, anche se negli anni abbiamo capito che molto spesso è davvero difficile azzeccarci. Poi subentrano la passione e i gusti personali, per cui a volte ci buttiamo in imprese che sappiamo saranno davvero difficili per il solo gusto di poter dire “l’abbiamo fatto”. Di sicuro, comunque, devono essere libri che ci piacciono, che ci colpiscono, che interessano in primis noi in quanto appassionati. Non ce ne frega niente di mettere sul mercato l’ennesima biografia dei Doors o di Hendrix che nulla aggiunge e nulla toglie a quanto è già stato scritto. Se si parla di nomi noti, cerchiamo un taglio diverso; se si parla di nicchia, cerchiamo passione e competenza.

Di recente avete spinto ulteriormente il vostro raggio d’azione con la biografia di Tupac. prescindendo dal genere. Affrontare la realizzazione di un libro così è identico per ogni tipo di artista o ci sono difficoltà diverse? Sono curioso in particolare di capire se il processo lavorativo segue dei binari comuni o se dovete adattarlo. Insomma come fate a fare un libro?

La risposta a questa domanda sarebbe lunghissima e davvero molto articolata. Diciamo che l’approccio di base è sempre lo stesso, ma le situazioni possono essere molto diverse. In primo luogo la differenza principale è se si tratta di un libro da tradurre o da realizzare da zero. Nel primo caso c’è tutta una trattativa iniziale che è molto diversa da quella che si fa per un libro inedito, ma poi il processo di lavoro è abbastanza lineare. In caso di un inedito, invece, il processo è un po’ più complicato perché comporta un lavoro sul testo e sulla ricerca dei materiali accessori (foto, illustrazioni, ecc.) molto più complesso. La difficoltà vera, nel caso di artisti o generi che esulano un po’ da quello che è percepito come “l’ambito di riferimento” di Tsunami, è poi quella di far conoscere il libro (e di conseguenza venderlo) anche alle persone che potrebbero apprezzarlo. Purtroppo tante scene si muovono un po’ a compartimenti stagni e a volte guardano con sospetto chi percepiscono, magari erroneamente, provenire da ambiti esterni. In questo caso, però, lasciamo che sia la bontà del lavoro a parlare per noi.

Sul punk avete parecchi titoli, ne cito alcuni: “Il concerto che ha cambiato il mondo” (sui Sex Pistols), “Punk Rock Blitzkrieg” (l’autobiografia di Marky Ramone), “Tranny” (che abbiamo recensito su Pogo qualche numero fa), “California Uber Alles” (mi rifiuto di specificare di chi parli, se non lo sapete buttate subito questa fanzine), NOFX, Disciplinatha. Riscontrate differenze tra il pubblico metal e quello punk? Oppure l’acquirente medio è semplicemente appassionato?

Il lettore medio è semplicemente un appassionato a cui interessa il libro, questa cosa non cambia, a prescindere dalla sottocultura di riferimento. Però a volte vale un po’ quello che dicevamo nella risposta precedente: ci sono ambiti che noi percepiamo come più rigidi ed esigenti, gelosi della propria storia e del loro vissuto. Il punk e l’hardcore sono indubbiamente tra questi, così come il black metal, per cui pubblicare libri che trattano questi generi necessita di un maggior grado di attenzione e sensibilità. Detto questo, il pubblico hardcore e punk ha effettivamente una differenza rispetto a quello metal: è più trasversale. Nella nostra esperienza, è più facile che un lettore punk si approcci a libri come “Lords of Chaos” o “The Dirt”, piuttosto che un lettore metallaro si incuriosisca davanti alla bio dei NOFX o dei Joy Division oppure a “California Über Alles”.

Oltre a libri monografici, avete anche in catalogo opere che raccontano le scene come “No Control” o “Lord of Chaos”, ma anche bellissimi libri fotografici come “Headbang ’80”. Raccontare dei precisi movimenti (legati anche a periodi storici precisi) è fondamentale e da anni l’editoria sta andando in quella direzione, dando per scontato che chi lo scriva sia una persona preparata. Cosa può rendere più attendibile un libro di questo tipo?

In primo luogo, come già sottolinei tu, diremmo proprio l’autore, la sua credibilità. Poi la documentazione di riferimento, le testimonianze dirette, le fonti… insomma, tutto quello che può contribuire a far capire al lettore che non si trova di fronte a una cosa improvvisata, ma davanti a un lavoro fatto con criterio. Oltre a tutti questi aspetti fondamentali, serve ovviamente anche una visione d’insieme: l’autore deve aver presente non solo l’argomento di cui va a parlare, ma anche il taglio con cui affrontare il discorso, lo stile con cui portarlo avanti. E questa è la cosa che spesso fa la differenza, perché fa capire che non solo quel movimento è stato vissuto o studiato, ma è stato prima di tutto compreso.

Ricollegandomi alla domanda precedente, state progettando qualche libro su determinate scene? Anticipazioni?

Nel momento in cui rispondiamo è attualmente in stampa “DISCONNECTION”, un libro dedicato alla scena hardcore italiana degli anni Novanta. Un tomo di più di quattrocento pagine, zeppo di fotografie e contenente contributi inediti di più di cento persone intervistate, tutte facenti parte all’epoca di band, etichette, fanzine, ecc. Ne siamo estremamente orgogliosi, è stata un’impresa monumentale da parte degli autori scriverlo, e un piacere enorme per noi lavorarci. Sarà in libreria nei primi giorni di aprile e ovviamente ci aspettiamo di vederne una recensione anche su Pogo! 

Parliamo di numeri, quali sono i titoli più venduti e quali meno? Sopra quale numero di copie vi ritenete soddisfatti? Quanti libri avete pubblicato dal 2008 ad oggi?

Tra i più venduti certamente “Lords of Chaos”, “The Dirt”, “Roger Waters – Oltre il Muro” (il più venduto di un autore italiano), ”Joy Division – Tutta la Storia”. Il numero di copie dipende da molti fattori, sicuramente dal costo del progetto, ma non solo. A volte siamo soddisfatti anche senza aver raggiunto il pareggio, per esempio se siamo riusciti a portare in casa dei lettori dei libri ai quali tenevamo in modo particolare (uno su tutti: “Tranny”). Certo, si deve campare, quindi i titoli che sostengono economicamente la passione devono esserci, se no non funziona. Quanti libri abbiamo fatto? Siamo intorno ai 150 titoli, ormai. 

Siete conosciutissimi anche perché spesso presenti con lo stand a molti festival. Pensate che questo sia un valore aggiunto? Conoscere direttamente i vostri clienti può influenzare le vendite o le vostre scelte editoriali?

Assolutamente sì! Ci piace andare in giro, ci piace incontrare i nostri lettori, parlare con loro, confrontarci, scambiare idee. È il motivo per cui, praticamente da subito, ci siamo mossi per essere presenti ovunque fosse possibile. E ci manca terribilmente, speriamo davvero di poter tornare presto a farlo. Il rapporto diretto con i lettori è fondamentale: a volte ci dà delle conferme, a volte riusciamo a capire cosa avremmo potuto fare, non fare, fare meglio. 

Eugenio e Max “on the road”

L’editoria musicale in edicola è da anni in crisi. Al contrario, negli ultimi dieci anni ci sono stati tanti libri musicali e sono nati molti editori dedicati, come voi, a nicchie. È una questione di contenuti oppure di fruizione? Mi son sempre chiesto se il dover andare in edicola (e genericamente mantenere scadenze mensili) sia una difficoltà che al contrario strutture come le vostre non hanno. C’è un futuro anche per il cartaceo di quel genere o il digitale inghiottirà tutto?

Non abbiamo mai pensato all’edicola come modello distributivo, secondo noi i libri vanno in libreria. Ma resta un lavoro molto difficile e sempre precario. È vero che negli anni sono sorte diverse realtà, ma è vero anche che molte altre sono sparite e che per tutte quelle che sono rimaste, noi compresi, è una lotta continua. Nonostante questo, secondo noi il cartaceo resisterà ancora diversi anni, tanto è vero che, almeno per il momento, siamo intenzionati a restare concentrati su questo supporto, che sicuramente ci dà la possibilità di offrire al pubblico lavori molto più belli e fruibili.

Quale libro punk deve ancora uscire e che non è ancora stato scritto?

Per quanto riguarda il punk, non te lo diciamo per scaramanzia, perché proprio oggi abbiamo ricevuto una proposta per il nome con cui avremmo sicuramente risposto. Chi vivrà vedrà. Se invece parliamo di hardcore, ci starebbe bene una biografia degli Youth Of Today fatta davvero come si deve: nel bene e nel male, Ray Cappo e John Porcell hanno cambiato la faccia dell’hardcore negli anni Ottanta e influenzato in modo irrimediabile gli anni Novanta, non solo negli Stati Uniti ma ovunque. Quella è davvero una storia che andrebbe raccontata per filo e per segno.

Il gran finale… siete due, avrete sicuramente discusso sull’opportunità di fare o meno un determinato libro. Vi siete mai pentiti di aver detto no? E, se è successo, per quale libro?

Hai voglia. Tutte le volte, in realtà. Pentiti di aver detto no? Mah, difficile. Però, a parte due o tre casi, che non citiamo, non ci siamo nemmeno mai pentiti di aver detto sì.

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